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DIRIGENTE MEDICO UOC Urologia
Nuovo Ospedale S.Giuseppe - Empoli
Dottorato di Ricerca in Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e dell'Emergenza - Università di Pisa

Ureteroscopia diagnostica rigida e flessibile

Definizione:
l’ureteroscopia è un esame strumentale che permette al medico di esplorare l’uretere (il piccolo canale che va da ciascun rene alla vescica) e le vie urinarie all’interno del rene (la pelvi ed i calici). L’esame viene eseguito mediante l’ureteroscopio, uno strumento fornito di lenti e di fibre ottiche, che può essere rigido o flessibile e che viene introdotto dall’esterno attraverso le vie urinarie (uretra e vescica).

Indicazioni:
l’ureteroscopia viene eseguita quando l’urologo sospetta una malattia dell’uretere e/o delle vie urinarie interne del rene. Con questo esame è possibile accertare la presenza di calcoli, stenosi (restringimenti), neoformazioni (polipi o tumori), stabilirne la sede e le dimensioni e programmare la terapia più indicata. L’ureteroscopia viene eseguita a scopo diagnostico se precedenti esami radiologici non hanno permesso una diagnosi certa. È possibile inoltre effettuare una biopsia (si preleva un frammento di tessuto per analizzarlo). Nei casi in cui si incontra un ostacolo al transito (per esempio un calcolo o una stenosi) è possibile, sotto visione diretta, attuare delle manovre mini-invasive che talora costituiscono la cura, temporanea o definitiva, della malattia. Può essere estratto un piccolo calcolo o può essere introdotto un tubicino (detto tutore o stent o doppio J) che superi il tratto ristretto del canale e permetta il deflusso delle urine. Durante l’ureteroscopia, se necessario, può essere introdotto nelle vie urinarie del mezzo di contrasto per visualizzare un tratto in cui l’ureteroscopio non può arrivare (in tal caso il paziente viene sottoposto ad una bassa dose di radiazioni).

Descrizione della tecnica:
se si utilizzano strumenti rigidi di maggior calibro (consentono una maggiore operatività) può essere necessario dilatare preventivamente l’uretere, soprattutto il suo sbocco in vescica. L’ureteroscopio viene introdotto molto spesso sotto la guida di un sottile filo flessibile atraumatico (metallico o non). In tal modo il medico ha minori probabilità di ledere la parete dell’uretere.
Dopo l’esame può essere necessario, soprattutto se l’ureteroscopia è divenuta operativa, lasciare in situ un tutore ureterale che consente un facile transito delle urine dal rene alla vescica e che può richiedere un ulteriore esame endoscopico per la sua rimozione. Un simile tutore ureterale viene lasciato all’interno, anche per periodi di tempo prolungati (settimane o, raramente, mesi), in tutti i casi in cui si verifica una lesione della parete dell’uretere o permanga un ostacolo al passaggio d’urina. In rari casi, negli uomini affetti da ipertrofia prostatica o nei pazienti in cui la manovra è stata prolungata e traumatica, può rendersi necessario, in genere per 24 ore o meno, un catetere vescicale. Può verificarsi una emorragia dalle vie urinarie, usualmente di breve durata e lieve intensità.

Preparazione all’intervento:
l’ureteroscopia non necessita di particolare preparazione malgrado siano necessari alcuni accertamenti (ECG, Rx Torace, esami del sangue e dell’urina), per il fatto che viene eseguita in anestesia.
Subito prima dell’intervento viene somministrato un antibiotico per prevenire l’infezione.

Durata dell’intervento:
l’ureteroscopia è una procedura di durata relativamente breve (generalmente compresa tra 10 e 45 minuti). Una durata maggiore, sino a 2-3 ore, può rendersi necessaria se l’esame diventa operativo.

Tipo e durata del ricovero:
quasi sempre è sufficiente un breve ricovero (DH in oltre l’80% dei casi). Raramente può essere richiesta una degenza più lunga.

Risultati:
la metodica consente di fare diagnosi in oltre il 90% dei casi.

Vantaggi:
evita inutili esplorazioni chirurgiche a cielo aperto e l’intervento chirurgico, quando necessario, si avvale di una diagnosi più precisa rispetto a quanto ottenuto con gli esami radiologici.

Svantaggi:
lo svantaggio dell’ureteroscopia, sia rigida che flessibile, rispetto agli accertamenti radiologici per visualizzare l’uretere (urografia e ureteropielografia) è quello di essere una manovra invasiva che richiede una anestesia nella maggior parte dei casi. In circa il 10% dei casi l’esame non consente una diagnosi o talvolta, anche quando la diagnosi venga posta, non è possibile trovare una soluzione in unico tempo. Si dovrà perciò eseguire un successivo intervento con una ulteriore anestesia.

Effetti collaterali:
è possibile avere una lieve ematuria o qualche sintomo irritativo vescicale nel post-operatorio.

Complicanze:
le complicanze dell’ureteroscopia diagnostica si verificano in meno dello 0,5% dei pazienti e sono quasi sempre di lieve entità. Può manifestarsi un’infezione urinaria malgrado la sterilità e la profilassi antibiotica. Ciò può causare malessere, febbre, e prolungare il ricovero. Lievi lesioni dell’uretere, quando l’ureteroscopia diviene operativa, sono un fenomeno relativamente comune. Può manifestarsi sanguinamento ed ostruzione temporanea al passaggio d’urina e può richiedersi il posizionamento di un tutore interno per un periodo di tempo variabile.
In rari casi, si possono verificare lesioni gravi dell’uretere che, molto raramente, richiedono un intervento chirurgico a cielo aperto. L’urologo potrebbe dover intervenire in tempo anestesiologico unico con l’esame endoscopico.
Le manovre strumentali effettuate possono causare, nell’1-2% dei casi, un restringimento dell’uretere (stenosi) tale da ostacolare il passaggio delle urine e richiedere ulteriori interventi endoscopici o chirurgici. La stenosi può rendersi evidente anche dopo mesi dall’intervento.

Attenzioni da porre alla dimissione:
se il paziente non è stato sottoposto a posizionamento di stent, dopo un breve periodo di terapia antibiotica può ritornare alle proprie attività lavorative. Negli altri casi questo può avvenire più lentamente, ma sempre in tempi brevi (massimo 2 settimane).
È sempre utile una iperidratazione del paziente.

Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione:
in caso di febbre consultare in prima istanza il medico curante che provvederà a capire la provenienza della febbre. Se il problema non si risolve consultare il centro urologico di riferimento.

Controlli:
dopo aver completato la terapia antibiotica (7 giorni) deve essere fatta l’urinocoltura e praticato il primo controllo clinico presso il centro ospedaliero di riferimento (nell’ambito del DRG). Se è stato posizionato uno stent, questo deve essere rimosso entro 2-3 settimane. I rimanenti controlli sono indirizzati dalla diagnosi ottenuta attraverso questa procedura.

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