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DIRIGENTE MEDICO UOC Urologia
Nuovo Ospedale S.Giuseppe - Empoli
Dottorato di Ricerca in Scienze Chirurgiche, Anestesiologiche e dell'Emergenza - Università di Pisa

Sostituzione dell’uretere con ileo, appendice, ecc. impiantato in vescica

Definizione:
si tratta di un intervento chirurgico a cui si ricorre nei casi di danni estesi dell’uretere per stenosi lunghe o grossi difetti di altra natura (traumatica, chirurgica, flogistica tbc, malattia litiasica, neoplasie in monorene, deconversione urinaria, ecc.) o in pazienti con litiasi ricorrente che necessitano di un canale che faciliti il passaggio dei calcoli renali.

Indicazioni:
al giorno d’oggi si tratta di una tecnica con indicazione “estrema”, da praticare quando tutte le possibili soluzioni endourologiche siano fallite o non più tollerabili (stent doppio J a permanenza, nefrostomia definitiva). L’insufficienza renale rappresenta una controindicazione assoluta a questo tipo di intervento perché il riassorbimento intestinale di urine acide provoca l’ulteriore deterioramento della funzione renale. L’ostruzione urinaria bassa è una controindicazione relativa perché può e deve essere corretta contestualmente o preliminarmente.

Descrizione della tecnica:
la tecnica prevede un accesso mediano transperitoneale che consente una visualizzazione completa del tratto ureterale da sostituire e permette di isolare il segmento intestinale che prenderà il posto dell’uretere. Di solito viene scelto l’ileo terminale che viene staccato dal resto dell’intestino (mantenendo però integra la sua vascolarizzazione) e collegato in alto all’uretere integro o direttamente alla via urinaria renale (pelvi renale) e in basso, alla vescica. Ovviamente l’intervento prevede la ricostruzione della continuità intestinale. Di solito, viene lasciato un catetere internamente all’intestino utilizzato per ricostruire l’uretere (stent doppio J) o una sonda nefrostomica fuoriuscente dalla cute del fianco. Vengono sistemati 2 drenaggi in corrispondenza delle anastomosi (punti di collegamento tra pelvi renale o uretere e intestino e tra intestino e vescica) e un drenaggio nella cavità peritoneale. È necessario inoltre posizionare un catetere vescicale che verrà tenuto a dimora per 2 settimane o più.

Preparazione all’intervento:
la preparazione preoperatoria prevede l’uso di purganti per os ad alto dosaggio in modo da avere l’intestino da utilizzare completamente pulito da feci. È utile inoltre somministrare antibiotici ad azione “intestinale” per avere a disposizione un intestino potenzialmente sterile. È indicato il posizionamento preliminare di un catetere ureterale per favorire l’identificazione dell’uretere nei casi in cui per pregressi interventi chirurgici si sia sviluppata un’intensa reazione periureterale. La nefrostomia percutanea preliminare permette di ristabilire la funzione renale a livelli ottimali prima di procedere all’intervento chirurgico.

Durata della procedura:
l’intervento di sostituzione ureterale con un tratto intestinale o di appendice è un intervento di chirurgia ricostruttiva maggiore e richiede un lungo tempo operatorio (3-6 ore) in relazione alle condizioni locali molto spesso complesse (aderenze tra organi per chirurgia precedente o infiammazioni croniche pregresse).

Tipo e durata del ricovero:
l’intervento di sostituzione ureterale viene eseguito in regime di ricovero ordinario; il ricovero dura dalle 2 alle 3 settimane se non ci sono complicazioni.

Risultati:
i risultati riportati in letteratura sono buoni nel 90% dei casi (Libertino). Per risultato obiettivo buono si intende:

  1. recupero della funzione renale;
  2. assenza di complicanze maggiori.

Di solito questi risultati vengono mantenuti nel tempo.

Vantaggi:
il vantaggio maggiore è quello di una metodica di salvataggio che può essere eseguita con un buon margine di sicurezza quando sia stata eseguita un’accurata selezione dei pazienti e quando sia stata posta un’attenzione particolare ai dettagli chirurgici. Rispetto alle tecniche endourologiche assicura risultati di durata nel tempo.

Svantaggi:
è un intervento di chirurgia ricostruttiva maggiore che coinvolge due apparati (gastroenterico e urinario).
Può essere tecnicamente complesso, non attuabile in tutti i pazienti, di lunga durata operatoria e con un lungo decorso post-operatorio e conseguente lento rientro alle attività lavorative e potenzialmente interessato da complicanze temibili anche per la vita.

Effetti collaterali:
l’eliminazione con le urine di muco intestinale può durare anche qualche anno. La presenza di una batteriuria cronica è molto frequente (circa il 40%) ma non provoca nessun danno. I disturbi idroelettrolitici sono molto rari se i pazienti hanno una buona funzione renale ed epatica.

Complicanze:
le complicanze possono essere molte e riguardare i due distretti interessati nell’intervento: intestino e vie urinarie. Tutte le complicanze dell’uso di segmenti intestinali nella chirurgia urologica:

  1. occlusione intestinale post-operatoria da briglie aderenziali che si creano nel peritoneo per effetto dell’escissione di un tratto di intestino;
  2. deiscenza dell’anastomosi enterica (oggi molto rara per l’uso costante di una buona preparazione intestinale e delle suturatici automatiche);
  3. necrosi di un tratto ileale e conseguente deiscenza dell’anastomosi pielointestinale o enterovescicale;
  4. ostruzione del tratto intestinale di sostituzione per tappi di muco (soprattutto nelle fasi precoci);
  5. possibilità di un danno renale progressivo da acidosi per riassorbimento di urine (Tanagho);
  6. possibile reflusso vescico-renale anche nel caso in cui siano state applicate tecniche anti-reflusso;
  7. infezione urinaria asintomatica in % variabile dal 40 al 60%;
  8. diarrea.

Attenzioni da porre alla dimissione:
alla dimissione il paziente è ancora portatore di stent ureterale o nefrostomia percutanea; pertanto deve rimanere sotto stretto controllo medico e condurre una vita molto tranquilla (ridotto stress fisico, scarsa attività sportiva, regime alimentare moderato). È importante assumere bicarbonato di sodio 1 g al dì refratto in 2 somministrazioni e praticare terapia con antibiotici (di solito per os) per qualche settimana.
Si raccomanda inoltre una dieta ricca di liquidi e vitamine. La normale attività lavorativa potrà essere ripresa dopo circa 1 mese dalla dimissione (questo periodo può essere variabile in relazione al tipo di paziente e al tipo di lavoro praticato).

Come comportarsi in caso di complicanze insorte dopo la dimissione:
nel caso in cui compaiano sintomi irritativi vescicali (provocati dalla presenza dello stent) il medico curante potrà risolvere il problema con la prescrizione di farmaci ad azione antispastica vescicale.
In caso di febbre elevata associata a dolori lombari sarà opportuno rivolgersi all’urologo. Così pure se il paziente, dimesso con nefrostomia, lamenta cattivo funzionamento o dislocazione della stessa.

Controlli:
il primo controllo post-operatorio viene effettuato dopo 30-40 giorni e corrisponde al periodo in cui si dovrà rimuovere lo stent o la nefrostomia.

Nello stesso periodo devono essere praticati gli esami di laboratorio che valutano sia la ripresa post-operatoria, sia l’eventuale presenza di disturbi idroelettrolitici. In assenza di problemi clinici il successivo controllo clinico con esecuzione di ecografia deve essere effettuato dopo 2 mesi.
Successivamente si controlla in genere il paziente ogni 3 mesi con esami di laboratorio ed ecografia e dopo 6 mesi con urografia.

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